Ho trascorso sempre il mio compleanno a Roma, non ho mai sentito l’esigenza di andarmene. Poi è arrivato il lockdown e avrei voluto essere ovunque: una passeggiata al centro, una gita fuori porta, un aereo per la prima città europea. Così ho trascorso il mio primo compleanno lontana da casa, a 27 anni, e per me non è così scontato! Era semplicemente l’anno giusto per farlo.
Me ne sono andata a Venezia, con un treno Intercity notturno perché l’alta velocità di questi tempi ha costi spropositati. Mai viaggiato in prima classe e mai amato la comodità, l’importante è che si viaggi e si abbia qualcosa da raccontare, l’ho sempre pensata così. L’intercity notturno parte da Roma Termini con 15 minuti di ritardo, perché? Non lo so, è la solita suspense che Trenitalia regala ai viaggiatori, quel ritardo ingiustificato che ti fa sempre chiedere: “chissà se partiremo!”.
Fortunatamente partiamo, l’arrivo è atteso per le 5 e mezza di mattina e io ho preso questo maledetto treno non solo perché costava poco, ma anche perché mi avrebbe accompagnata da una Venezia ancora assonnata nelle prime luci dell’alba, senza anima viva per strada, il sogno di ogni fotografo probabilmente.
La tratta Roma – Firenze senza alta velocità è una condanna a morte, sembra non finire mai. Inoltre nella nostra carrozza non ci sono cuccette ma solo poltrone e la luce resta accesa per tutta la durata del viaggio, è una di quelle luci bianche che ti consumano gli occhi anche da chiusi.
“Devo mandare una mail a Trenitalia per polemizzare contro le luci che non vengono spente nelle ore notturne, è un diritto di ogni viaggiatore dormire di notte!” Mentre polemizzo in silenzio sono a Campo di Marte, mi addormento e riapro gli occhi in un’altra stazione. Spero con tutta me stessa che sia Ferrara e invece no, siamo ancora a Bologna e ho dormito solo un’ora e mezza. Consumo il bagno dell’Intercity e sui posti vedo solo gente accartocciata su se stessa che tenta di dormire in qualunque posizione o modo, tra tutti loro c’è una ragazza con la mascherina chirurgica sugli occhi per ripararsi dalla luce.
Scoppio a ridere e me ne torno seduta, sperando che la tratta Bologna – Venezia sia più benevola. Perdo tempo: guardo il buio fuori dal finestrino, musica nelle orecchie, chiudo gli occhi, poi li riapro, poi vado in bagno, poi aggiorno Google Maps per vedere dove sono. Insomma, il treno ferma a Venezia alle 5:30 di mattina, io scendo e non so nemmeno come possa aver fatto a sopravvivere a tanta noia. Venezia mi sembra New York nel 1920 dopo una quarantena di settimane a Ellis Island e, infatti, Graziano si inginocchia e bacia terra. Siamo solo io e lui sul binario, più in là il capotreno lo guarda e ride.
“Che cos’è? Un viaggio della speranza?” Assolutamente si, signò.
Esco dalla stazione e ricordo tutto come fosse ieri, mancavo da questi canali da anni, eppure quella città galleggiante è rimasta intatta ai miei occhi anche nel buio. In strada si sentiva solo il rumore delle ruote delle nostre valigie, subito dopo quello dei nostri stomaci che, dopo tutte quelle ore, chiedevano vendetta. Unico bar aperto su Ca’ d’Oro sei nostro, per me sei stato come un’oasi nel deserto! Mi gusto un caffè e una brioche vuota che, da brava romana, ordino come “cornetto semplice” ad una signora veneta che sembra non capirmi subito (quando accadono certe cose mi rendo conto di quanto siamo diversi da una parte all’altra dello stesso paese, ma come gli è venuto in mente a Garibaldi di unirci?).
Intanto la barista più giovane prepara uno Spritz a portar via per un signore appena entrato. Un po’ assonnata mi perdo nel colore arancione mentre sorseggio il caffè, ripenso ad un paio di amiche e ad un paio di serate trascorse con lo Spritz in mano a rincorrere ragazzi con cui non sarebbe mai funzionata.
Usciamo dal bar, ci perdiamo tra i vicoli, riusciamo a raggiungere il b&b e usiamo il bagno di una camera rimasta aperta mentre in quella accanto probabilmente gli ospiti ancora sognano. Alle prime luci dell’alba ci rigettiamo tra le calle. Le strade sono deserte e i canali silenziosi, nemmeno l’acqua fa rumore.
Sembra di vivere in un’altra epoca, oppure sembra semplicemente uno splendido regalo di compleanno arrivato in anticipo.
In direzione San Marco, scorgo un vicolo dal quale fa capolino il ponte di Rialto. Cambio subito direzione e mi ci tuffo, sbuchiamo sotto il ponte, su Canal Grande avvolto dalla nebbia con una leggera pioggerellina che pian piano sta bagnando tutti i miei capelli rendendoli mossi. È esattamente un sogno o un quadro surrealista, un’atmosfera sospesa mai vista prima. Le gondole ferme vicino ai pontili, i negozi di Rialto chiusi, qualche bar aperto che serve i primi caffè ai lavoratori mattutini. Poi vediamo il primo battello arrivare e un’ondata di pendolari riversarsi nelle calle. Sembra Roma Termini alle 8 di mattina, ma qui i pendolari galleggiano ogni giorno su battelli-metro e di certo non incontrano traffico! Chi visita Venezia deve fare i conti con uno stile di vita tutto legato all’acqua, totalmente diverso dal nostro. Si dimenticano gli attraversamenti pedonali, i semafori, i clacson delle automobili, il traffico. Si finisce per affezionarsi anche ai gabbiani che volano bassi e si posano su ogni superficie. Il tempo di qualche foto e ci perdiamo nuovamente nel labirinto di strade in cerca di Piazza San Marco.
Se c’è una cosa che ho imparato a Venezia è la bellezza di perdersi, tutte le vie sono simili così come tutti i canali e per quanto tu segua le indicazioni principali, ci sarà sempre un bivio al quale sbaglierai direzione. Qualche tempo fa ho riletto Le Città Invisibili di Italo Calvino, in cui Marco Polo riesce ad immaginare 55 città diverse ispirandosi ad una sola: Venezia. Tra le calle all’alba ho pensato proprio a quanto sia labirintica e combinatoria questa realtà, a quanto Marco Polo avesse ragione, a quanto Calvino fosse stato geniale. Dopo i miei monologhi filosofici riusciamo a trovare piazza San Marco, sono le 7 di mattina e non c’è nessuno: solo nebbia e silenzio. Non l’avevo mai vista così. Non capisco se sia l’orario, il Covid-19 o l’allarme acqua alta ad aver causato una meraviglia così grande. Il campanile avvolto nella foschia, qualche fotografo si aggira con la sua macchina fotografica, i colonnati vuoti e l’isola di San Giorgio che scruta sempre tutti da lontano.
La mia quarta volta a Venezia è stata surreale per molte cose: il mio compleanno, piazza San Marco vuota e l’acqua alta. Si, tutti i veneziani ricorderanno il 3 ottobre 2020 per la prima apertura del Mose e infatti quella mattina in città non si parlava d’altro. Ogni volta che torno lì, Venezia mi insegna qualcosa: a 11 anni il Carnevale, a 17 la pace lontana dal traffico di Roma, a 20 il giro in gondola e a 27 l’acqua alta, che non inonda la città solo dalle rive, ma penetra dai tombini perché, in fondo, ogni cosa lì galleggia.
Te ne accorgi quando trovi Piazza San Marco completamente allagata e tra una mattonella e l’altra del pavimento escono le bollicine, come se sotto qualcosa stesse respirando da mesi e provasse finalmente ad uscire. È semplice acqua di mare, ma ogni turista la tocca, la immortala nelle foto, la percorre scalzo. Una città così non esiste altrove, ci sono Amsterdam e Bruges con i loro canali ma, per quanto io non le abbia mai viste, so che non sono la stessa cosa. Venezia non è paragonabile, piuttosto è il mondo intero ad assomigliarle.
Mentre la sirena dell’acqua alta risuona alle nove di mattina, io sono nel letto al buio. Apro gli occhi e non sento alcun rumore, solo il suono della sirena. “Spero che il Mose funzioni, perché i miei anfibi hanno la suola spaccata e penetra l’acqua. Sarebbe un dramma trascorrere il mio ventisettesimo compleanno con i piedi perennemente bagnati.” Poi mi giro a pancia in sotto, abbraccio il cuscino e penso che anche io come tutto il mondo assomiglio a Venezia: galleggio da una vita e anche quando penso di toccare il fondo, in realtà sono semplicemente in apnea a un metro dalla superficie.
Ti sei guardato intorno e mi hai detto: “l’articolo si dovrebbe chiamare Venezia Surreale” e dato che questo surrealismo ci ha rapito il cuore si, penso proprio che lo chiamerò così.
Graziano e Federica
Hola siamo Graziano e Federica, due viaggiatori che hanno unito la propria vita nelle passioni e nel lavoro facendone un viaggio unico. Ci siamo conosciuti ad un colloquio di lavoro, che avremmo lasciato entrambi da li a breve, e dopo quindici giorni abbiamo prenotato il nostro primo viaggio insieme. Amiamo le cose colorate, i profumi del buon cibo e scoprire ogni giorno posti nuovi. La nostra casa è l’unione tra il design lineare scandinavo e lo spirito bohéme parigino.