Erano i primi giorni di aprile e in Cina si avvicinava la data della cosiddetta festa Qingming (清明节 in caratteri cinesi), ovvero il giorno in cui i cinesi venerano i defunti e i loro antenati; un po’ come il nostro “giorno dei morti”. Questo culto in Cina è molto sentito e, analogamente all’Italia, è un giorno di festa nazionale, spesso unito ad altre giornate di ferie. Per questo motivo, oltre a recarsi nei luoghi di sepoltura, molti cinesi e non, ne approfittano per fare dei viaggi dentro e fuori il Paese.

Nella primavera del 2019 mi trovavo a Tianjin, una metropoli “poco” distante da Pechino. Avevo vinto una borsa di studio dell’università presso cui studiavo e ciò mi aveva permesso di seguire un corso di cinese nel Paese degli occhi a mandorla per ben 4 mesi e mezzo.

Non era la prima volta per me in Cina, tuttavia posso dire che sia stata decisamente la migliore. Complici di questa meravigliosa esperienza sono state sicuramente le mie tre compagne d’avventura, che entusiaste di viaggiare e di scoprire il mondo quanto me, avevano accolto felicemente la mia idea di partire per la Mongolia Interna, proprio in concomitanza di quella festività. Avevo visto un sacco di foto e avevo sentito parlare di quei luoghi da molte persone.

Questo viaggio, infatti, è un po’ come se fosse un “must-travel” per chi si trova a nord della Cina e io non vedevo l’ora di partire e di creare dei ricordi tutti miei.

Abbiamo prenotato il tutto tramite WeChat, che in Cina è praticamente il motore della vita. Oltre allo scambio di messaggi, questa app ti consente di videochiamare, di ordinare cibo, di chiamare i taxi, di pagare nei negozi e nei ristoranti e di… prenotare dei viaggi!

Tramite un’agenzia del posto, infatti, abbiamo ricevuto il ricco, quanto economico, itinerario di viaggio. (La cifra spesa era veramente irrisoria confronto a tutto ciò che era incluso).

Si trattava “solo” di un weekend con partenza prevista tra il giovedì notte e il venerdì mattina e con ritorno la domenica in prima serata e, oltre a noi, molti altri studenti avevano preso parte a questa iniziativa. 

Col senno di poi, se c’è una cosa che ho imparato da questo viaggio è che, per spostarsi nei giorni di traffico da bollino nero (Ferragosto per capirci), sicuramente non opterò più per l’autobus!

Perché si, avremmo affrontato tutto il viaggio su un autobus guidato da un pazzo autista cinese!

Secondo la tabella di marcia, partendo da Tianjin alle 4 di mattina, saremmo dovuti arrivare a destinazione dopo circa 7/8 ore… morale della favola? Ce ne sono volute 15!

I problemi sono iniziati sin dalle prime luci dell’alba, quando il primo ingorgo ha fatto capolino, per poi passare al secondo, al terzo e via dicendo! E poi, non ce le vuoi mettere le pause bagno/cibo/sigaretta?

Sani e salvi e con il sedere quadrato e indolenzito, verso l’ora di cena siamo finalmente giunti a destinazione. 

Un’accoglienza fantastica, caratterizzata da un freddo gelido, ma anche da un caloroso spettacolo, per mostrare ai nuovi ospiti usi e costumi del luogo. Il tutto accompagnato da un’abbondante cena in stile tipicamente mongolo (la carne essiccata va per la maggiore lì).

A cena finita, intorno a un falò, abbiamo bevuto una birra in compagnia di altri ragazzi, scaldandoci le mani per il freddo patito e aspettando il tanto atteso momento della notte nella Yurta. Ebbene sì, avremmo passato la notte in una tipica abitazione mongola, sprovvista di riscaldamento e di bagno con scarico…

… la notte più fredda, quanto elettrizzante di sempre.

lLa luce, i colori dell’alba e la gran fame del mattino dopo ci hanno svegliati e dopo una sostanziosa colazione eravamo finalmente pronti per tutte le attività programmate (che chiaramente, visto il viaggio della speranza, erano slittate). Prima tra queste, la cavalcata nella steppa! Nel cielo nemmeno una nuvola e il tiepido sole ci scaldava abbastanza da farci godere di quei meravigliosi paesaggi incontaminati. Tra cavalli pigri e alcuni un po’ impazziti (il mio per esempio ad un certo punto aveva deciso di fare di testa sua), con un tè al latte ci siamo rifocillati in un yurta-bar (mi piace chiamarlo così).

Una sorso e via, diretti verso il pranzo, ovvero l’ultima tappa che ci separava da ciò che tutti aspettavamo… il Deserto del Gobi.

Muniti di sciarpette anti-sabbia e accompagnati da jeep da ruote altissime, finalmente davanti ai nostri occhi abbiamo visto apparire intrecci di dune e stradine di sabbia.

Partendo da un volo con la carrucola, passando per una scivolata con il bob e un giro con il quad su e giù per le dune, era arrivato il momento della cavalcata sul cammello, giusto in tempo per il tramonto!

Di quei momenti, due cose sono ben impresse nella mia mente: le ombre sulla sabbia e il fatto che eravamo solo noi 4, noi 4 compagne di viaggio e di avventure, quasi come se il posto ci fosse stato riservato.

Scesa dal cammello non ho potuto che sentirmi grata, grata per quello che avevo visto, grata per le emozioni provate e soprattutto grata per aver realizzato uno dei miei desideri!

Avrei passato le successive 15 ore di autobus per fare ritorno a casa pensando a questo! 

Camilla

Camilla è una docente di lingua inglese, appassionata di fotografia e di viaggi. Nata a Roma, cresciuta in Trentino, prende spunto dai noti trentatré trentini per trotterellare da Venezia all’Asia, da Roma a tutta Europa. Ama il buon cibo, confrontarsi con culture diverse e raccontare le sue esperienze di viaggio su Voyavel.

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