C’è un quartiere che si affaccia sul fiume, al centro di Dublino, dove i colori brillano più vividi perfino quando è sera, la musica fluisce da ogni luogo e le caratteristiche melodie irlandesi invadono le strade, le risa sono più squillanti e il gusto della birra appena spillata è più amaro e deciso che in qualsiasi altro posto nel mondo.

Temple Bar ha un fascino tutto suo, ti entra nel cuore e fa bene all’animo, e probabilmente queste poche righe non basteranno a restituirlo totalmente.

Dublino mi ha accolta nel modo in cui accoglie tutti i suoi visitatori: a braccia aperte, con birra, musica e tagliente ironia irlandese: un primo sguardo alla sua bellezza e già mi sentivo completamente a casa; ma la prima volta che ho messo piede a Temple Bar – umida e straripante di persone – ho realmente conosciuto lo spirito di questa città fatto di risate, qualche bagarre tra la folla e confessioni fatte a perfetti sconosciuti davanti a una birra in un pub; la vita lì ti pulsa dentro e ti attraversa, vibra in ogni cosa.

A Dublino la vita ti pulsa dentro e ti attraversa, vibra in ogni cosa.

Per tutta la durata del mio soggiorno a Dublino, la mia unica tappa obbligata è stato The Quay’s Bar, un locale ad angolo in tipico stile Irish, che ospitava ogni sera un cantante diverso; lo avevo scoperto la prima sera perché era meno affollato – se così si può dire – del più conosciuto Temple Bar Pub, lì accanto, e avevo deciso che sarebbe stato il mio posto per le serate dublinesi, sia per l’atmosfera rilassata e familiare, sia perché il proprietario era un tipo simpatico che scherzava a non finire sul mio pessimo inglese.

Lì il mio posto era sempre lo stesso: un lungo tavolo in legno vicino al bancone, abbastanza defilato dalla bolgia ma non troppo distante per ascoltare la musica che riempiva la stanza adiacente. Una sera piuttosto strana sedevo a quel tavolo con una birra davanti, dopo aver girato a piedi mezza città, mentre pensavo all’itinerario del giorno seguente, ecco avvicinarsi un ragazzo – mentirei a me stessa se dicessi che non lo avevo già notato qualche istante prima seduto con altri suoi amici al bancone.

Un saluto, le presentazioni, ed eccolo lì, seduto davanti a me, diverso da qualsiasi altro in quella sala, cosa abbastanza ovvia visto che Danny era americano.
Un incontro talmente improbabile da essere assurdo, quasi uscito da un romanzetto rosa: la ragazza va in vacanza ed incontra l’eroe sconosciuto.

Eppure, con quel ragazzo passai una delle serate più belle del mio soggiorno a Dublino, parlammo di tantissime cose – lui ignorando i miei strafalcioni con la lingua straniera, e io improvvisamente in grado di capire tutto; mi raccontò della Florida, e mi chiese tutto quello che c’era da sapere sulla mia città e su di me.

Arrivammo all’ora di chiusura con ancora tantissime cose da dirci e la strada di ritorno non era mai stata così breve, ci salutammo davanti all’albergo: lui ripartiva il giorno dopo, io restavo.
Sarà stata la certezza che non ci saremmo più rivisti, o la speranza che quel “ci vediamo a Roma” fosse sincero, fatto sta che continuammo a sentirci per mesi, ogni tanto scherzando sul fatto che saremmo dovuti tornare a Dublino.

E chissà, magari un giorno il Quay’s mi rivedrà di nuovo lì, al mio tavolo, con il mio – ancora pessimo – inglese.

Giorgia

Trasteverina classe ’93, testa tra le nuvole e piedi ben saldi a terra, divoratrice seriale di libri e flâneur nel cuore. Innamorata dell’Irlanda e della Scozia, i due posti che porta nel cuore da quando è adolescente, amo la cultura, l’arte e i visitare musei. Nella vita scrivo di ciò che leggo e scopro girando per la mia città: Roma.

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